CLASSE 1922. I GIOVANI NATI CON LA RIVOLUZIONE CAMMINANO COME VECCHI
LEGIONARI DI AFRICA E DI SPAGNA
Indro Montanelli
Peschiera settembre.
Quando chiesi a una Camicia Nera della Federazione dov'era
il comando di tappa dei Battaglioni della G.I.L., un ragazzino li accosto
mi guardò di sotto in su e poi si diede a seguirmi. Mi si teneva
a due passi di distanza e mi scrutava insospettito. Finalmente si avvicinò.
Avrà avuto un quattordici anni. «Siete uno del Gruppo»
mi chiese. Sorrisi lusingato e risposi di no. «Neanch'io, - disse
lui, - ma vorrei appunto arruolarmi. Sono venuto a piedi da Brescia e,
francamente, mi seccherebbe tornare indietro vestito da borghese».
Disse proprio così: «da borghese» con una smorfia di
disprezzo. Era un ragazzino serio, con un'idea precisa ficcata nel cervello,
un'idea difficile che gli faceva aggrottare la fronte. «E perché,
vuoi arruolarti?» chiesi. «Così» disse lui. «Quando
sei venuto via da Brescia?» chiesi di nuovo. «L’altro ieri».
«E a casa tua lo sanno? ». «No». disse lui. Mi
stava lì davanti tranquillo tranquillo a guardarmi di sotto in su
e quasi m'intimidiva.
Pensavo: ora lo consegno ai carabinieri perché
lo rispediscano, a Brescia. Ma non mi decidevo. Passò l'ispettore
di zona Santicoli e glielo affidai dicendo: «Vedi tu». - Ma
anche Santicoli dovette vedere che non era il caso di consegnarlo ai carabinieri.
Arruolare, non lo arruolarono perché non aveva l'età, ma
l'umiliazione di tornare a casa vestito da borghese non gliela inflissero.
Il quattordicenne restò con i diciottenni che lo
adottarono e dopo due giorni era ancora a Peschiera. Un gruppo di battaglioni
era partito, un altro era arrivato. Al Comando di tappa il ragazzo lo impegnavano
a portare ordini, a far da piantone agli accantonamenti, a tenere il basto
ai muli. Una sera lo incontrai tutto solo che passeggiava lungo il molo.
«Cosa fai?» gli chiesi.
«Aspetto che qualcuno cada in acqua» disse
lui.
«Come che qualcuno cada in acqua?».
«Si, - disse lui, - sono cose che capitano. E' capitato
a uno del Battaglione Firenze, a Albissola Marina. Era sul fiume e vede
un ragazzo che sta per annegare. Allora si butta in acqua e lo salva. Poi
non dice niente a nessuno, ma sono i carabinieri che se ne accorgono e
fanno il rapporto al comando di gruppo. Ora forse gli danno la medaglia
d'argento. Be', supponete che un affare di questo genere capiti a me. Allora
la divisa e il moschetto me li devono dare per forza».
La divisa, il moschetto e uno zaino di 25 chili con le
scarpe di ricambio: altro bagaglio), altra ambizione non hanno questi volontari
della classe 1922, la prima classe che abbia tutta la sua vita dentro il
Fascismo. «Il Regine e noi siamo nati insieme» dicono; e non
hanno più bisogno di aggiungere che il ventidue è una classe
di ferro. Qualcuno è nato addirittura lo steso giorno e questa coincidenza
la esibisce come un gallone. Vengono dall'Ovest, qualche reparto - come
il Battaglione Roma comandato da Ippolito - viene addirittura dalla zona
di operazioni del fronte occidentale dove si concentrò prima dell'armistizio.
Udirono le ultime cannonate gli ultimi proiettili -li sfiorarono. Ora,
pensarono, per un poco terremo in riposo i piedi e meneremo le mani. Ma
di menare le mani non ci fu tempo. Ippolito. che era forse il più
deluso di tutti, rimise in azione i piedi e i piedi bevvero 350 chilometri
di strada sotto il sole, sotto l'acqua, col freddo, col caldo. Nati con
la Rivoluzione, i ragazzi fanno come la rivoluzione: marciano. Marciando,
cantano canzoni. Cantano che Mussolini è la nostra forza e la nostra
fede e poi la nostra fede e la nostra forza; cantano che l'Italia è
bella e grande e che per farla più bella e più grande vale
la pena di vivere e val la pena anche di morire; cantano che babbo e mamma
non se n'abbiano a male, ma un po' di paglia in fondo a una trincea è
giaciglio più comodo del letto di casa. E son tutti d'accordo, su
questi punti: gli studenti, i contadini, gli operai, gli artigiani. Già,
non li distingui gli uni dagli altri: sui pantaloni di fustagno cachi spiccano
torsi e toraci atletici che il sole ha tinto di una bella tinta mattone.
Nei volti imberbi dove indugiano ancora ombre di adolescenza vedi spiccare
bianchissimi denti di giovani lupi. Sono truppe d'urto e di rottura nate.
E così si sentono esse stesse. Quando le fanno esercitare al fuoco
i loro gridi di guerra sono ruggiti. Dietro i ripari di pietra, si agitano
impazienti, vorrebbero balzarne fuori prima ancora che l'artiglieria abbia
esaurito il suo compito; cacciarsi vorrebbero sotto la gragnuola dei proiettili
per la gioia di sentirne il frullo sul capo, per gareggiare di sveltezza
con lo sventaglio delle schegge. per il piacere acre dei pericolo, per
il gusto di sentirsi vivere accanto alla morte. Gli occhi accesi, le mascelle
serrate, i pugni chiusi sull'orlo della trincea, pronti al balzo dell'assalto:
così li ho visti.
Ma li ho visti anche camminare a passo di strada, e allora
sembrano invece vecchi soldati di linea, professionisti della milizia;
vecchie bandiere ti sembrano, vecchie legioni, come quelle che vedemmo
in Africa e in Spagna, bandiere e legioni di veterani che alla fine di
ogni guerra ti dicono che ora è proprio finita, ma poi basta una
bandiera o uno squillo di tromba per farli riaccorrere sotto i gagliardetti
piantando in asso moglie, figli e affari. 0 dove l'hanno Imparata quell'arte.
questi ragazzi del ventidue? Marciano come chi non abbia mai fatto altro
in vita sua. Hanno un passo lungo e cadenzato, parlano poco, non bevono.
Sono rudi e semplici. Se a un compagno gli si sgalla il piede e comincia
a zoppicare, gli tolgono lo zaino di dosso e lo rimorchiano a spinte, ma
non c'è né un ringraziamento né una protesta. Gli
ufficiali, in cima, non hanno bisogno di voltarsi. Il colonnello Venturi,
il vecchio bersagliere che comanda il 2° gruppo, decorato dell'Ordine
militare di Savoia e di quattro medaglie d'argento», disse al momento
della partenza, tre settimane fa: «Quando mi fermo io, vi fermerete
anche voi». E siccome lui noi si ferma che alla fine della tappa
e della giornata, anche loro non si fermano che alla fine della tappa e
della giornata. Allora si puliscono, poi mangiano, poi lustrano le armi,
poi vanno a cercare nell'altra ala della caserma che li ospita il soldato
con cui uscire a passeggio o andare al cinema per vedere il documentano
di guerra. Contatti con i borghesi ne hanno pochi e non ne vogliono avere,
per loro, un uomo che circola per la strada senza un fucile e una baionetta
non è un uomo. Sono nati nel 1922, sono nati con la Rivoluzione.
Succhiavano il latte, quando di fuori si udivano passare gli squadristi
cantando pugnal fra i denti le bombe a mano. All'etá dei giocattoli,
per giocattolo ebbero un fucile. Dapprima fu un fucile di legno, poi di
latta, poi di ferro. Babbo e mamma se li volevano tenere in casa per allevarseli
a modo loro, che era il modo dei loro babbi e delle loro mamme. Ma c'era
la Voce di Qualcuno che li chiamava fuori nel sole, per la strada. Ed era
-una voce imperiosa, una voce a cui bisognava obbedire. E loro obbedirono
e da quel giorno diventarono figli di Lui e per Lui si fecero soldati e
a diciotto anni hanno avuto la divisa, il moschetto e lo zaino e ora il
sentono uomini e a casa non vogliono tornare prima di avere dimostrato
che sono uomini davvero. E c'è chi non aspetta nemmeno diciotto
anni. A quattordici già pianta ogni cosa e segue i più grandi
e aspetta sul molo di un lago l'occasione di meritare anche lui la divisa,
lo zaino e il moschetto.
CORRIERE DELLA SERA Quotidiano del 18 settembre 1940.
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