Pansa Giampaolo IL SANGUE DEI VINTI
Sperling & Kupfer, 2003
Esce "Il sangue dei vinti", il nuovo libro di Giampaolo Pansa."Dopo
le atrocità dei repubblichini, l'altra faccia della medaglia"
Quei fascisti uccisi dopo il 25 aprile
di SIMONETTA FIORI
Intervista a Giampaolo Pansa
ROMA - E' una pagina orrenda della storia italiana del Novecento. Storie
di impiccati e traditori, di stupri e torture, di fucilazioni di massa
ed efferatezze gratuite, di cadaveri irrisi e violati, della furia vendicativa
che travolse il Nord d' Italia alla fine della guerra. Storie laceranti
e dolorose, perché nelle vesti di aguzzini e seviziatori, tra il
maggio del 1945 e la fine del 1946 (talvolta anche più in là),
s' incontrano alcuni dei partigiani che avevano liberato il paese da nazisti
e fascisti.
E tra le vittime, ritratte nella luce livida della morte, uomini della
Guardia Nazionale Repubblicana, brigatisti neri, federali di Salò,
ma anche farmacisti, avvocati, artigiani, commercianti, operai, casalinghe,
maestre elementari, affittacamere, talvolta condannati alla forca soltanto
per una tessera del Partito fascista repubblicano. Per quasi sessant' anni
questa vicenda è rimasta avvolta in un velo di reticenze e di silenzi
imbarazzati.
La racconta ora, con la passione storiografica degli esordi e la limpidezza
del narratore sapiente, Giampaolo Pansa, in un libro - Il sangue dei
vinti (Sperling & Kupfer, pagg. 382, euro 17, dal 14 ottobre in
libreria) - che susciterà polemiche non lievi.
"Dopo tante pagine scritte, anche da me, sulla Resistenza e sulle
atrocità compiute dai tedeschi e dai repubblichini, mi è
sembrato giusto far vedere l'altra faccia della medaglia. Ossia quel che
accadde ai fascisti dopo il crollo della Repubblica sociale italiana".
Il risultato è un viaggio attraverso l'orrore compiuto dall'autore
insieme a Livia, una bibliotecaria quarantenne che è l'unico personaggio
inventato del racconto. Meticolosa e sconvolgente è la mappa dei
crimini. Scuole e ville trasformate in luoghi di tortura. Uomini gettati
vivi nei forni delle acciaierie. Fiumi gonfi di cadaveri sfigurati. Un'intera
colonna di soldati - la "Morsero" - esposta al linciaggio popolare,
esecuzioni di massa sul Piave, assalti furibondi alle carceri, donne stuprate
e poi finite con una pallottola.
A Milano, Torino, in tanta parte della Liguria, nel Veneto, in Emilia.
E tanto più feroce era stata l'occupazione nazifascista, quanto
più furiosa esplode la vendetta. Soltanto alla fine di questo viaggio
scopriremo che Livia è figlia d'un ex partigiano della Volante Rossa
(la squadra che nel dopoguerra a Milano seminò terrore tra gli ex
repubblichini) e con quel controverso passato vuol fare i conti.
Lei, Pansa, perché ha voluto aprire una pagina così spinosa?
"Avevo diciannove anni quando cominciai a studiare la storia della
Resistenza. A quella straordinaria vicenda civile ho dedicato con slancio
la mia tesi di laurea, avviata con Alessandro Galante Garrone e conclusa
con Guido Quazza, i miei maestri. Da allora ho continuato a scriverne,
con una curiosità mai soddisfatta: ma cosa è realmente accaduto
alla fine della guerra? Nessuno mi ha mai dato una risposta. Non gli accademici,
per cui la storia si concludeva con il 25 aprile. Né la storiografia
di sinistra, che per opportunismo partitico o faziosità ideologica
ha quasi sempre ignorato quegli avvenimenti. A sessantasette anni mi sono
detto: ma perché non provare a raccontare il 'dopo 25 aprile'?".
Nessun disagio nel confrontarsi con una materia così incandescente?
"No, perché dovrei? Sono un ex ragazzo di sinistra, ho un pedigree
antifascista, l'eroe per antonomasia è il partigiano che liberò
la mia città, Casale Monferrato. Ma ho sempre saputo che la guerra
civile è una scuola terribile per tutti. Ti abitua alla violenza
disumana. Chi sostiene che soltanto una parte s' è macchiata di
pratiche bestiali sa di dichiarare il falso. Quello schifo l'abbiamo visto
in entrambi i campi e io ho voluto raccontare quel che è accaduto
nel mio campo".
Claudio Pavone, che per primo ha sdoganato a sinistra il termine di
"guerra civile", scrive che crudeli e sadici furono presenti
nelle due parti in lotta (in numero senza confronti superiore tra i repubblichini)
e tuttavia ciò che differenzia i due fronti è la diversa
struttura culturale di fondo, più adatta nel caso dei fascisti a
selezionare crudeltà e sadismo.
"Ma ciò che sconvolge, nei mesi successivi al 25 aprile, è
l'indistinta caccia al fascista, che poteva essere un criminale di guerra,
o soltanto un tesserato del Pfr, oppure niente di niente. La morte come
una falce impazzita, che non distingue l'erba buona da quella cattiva.
Famiglie intere spedite sottoterra, per un semplice sospetto. Complessivamente
furono oltre ventimila le persone, tra militari e civili, che rimasero
travolte dalla resa dei conti e dagli omicidi politici. Desaparecidos d'
una guerra brutale".
Come spiega tanta violenza?
"Intanto fu una reazione istintiva alla spietatezza degli occupatori
nazisti e dei fascisti collaborazionisti. Non a caso tanto più feroce
era stata l'azione di tedeschi e repubblichini, quanto più cruenta
fu la ribellione. Senza contare le vendette personali: dietro molte esecuzioni,
c' era una resa dei conti privata".
Lei scrive che dietro questa furia violenta agiva anche un'illusione.
"Era diffusa la convinzione che più fascisti venivano accoppati,
minore sarebbe stata la possibilità di rinascita del fascismo. Un'illusione
fallace".
Oggi gli eredi di quella storia sono al governo.
"Sì, è così. Anche se Fini non può essere
inchiodato al suo passato fascista, così come Fassino non può
essere impiccato alle sue radici comuniste".
Furono numerosi allora i giustizieri improvvisati.
"Spuntarono ovunque tantissimi partigiani finti. Ci sono le testimonianze
di Italo Pietra e del socialista Gianni Baldi: scendevano in campo gli
antifascisti dell'ultim' ora, decisi a mettersi in bella vista in soccorso
del vincitore".
Su quali fonti storiografiche ha lavorato?
"Ho dovuto camminare sulle sabbie mobili di fatti lontani, che spesso
hanno lasciato poche tracce. Mi ha soccorso una vasta memorialistica di
parte - disseminata presso sigle editoriali minori, quasi invisibili -
oltre che i censimenti dei caduti della Rsi, mentre nell'ambito della letteratura
di segno opposto non c' è granché, tranne i preziosi contributi
di Massimo Storchi, Gianni Oliva e Mirco Dondi. Gli istituti storici della
Resistenza, su questo argomento, hanno prodotto molto poco".
Ma le testimonianze di parte fascista non rischiano di essere faziose,
devianti?
"No, non c' è questo rischio. Tutte le storie che ho raccolto
in questo libro sono assolutamente credibili. Il mio difetto è averne
tralasciato un'enorme quantità".
Tra tutte colpisce la pagina dedicata a un personaggio-simbolo, Arrigo
Boldrini, presidente dell'Anpi. Lei definisce i suoi uomini "eroici
e spietati". Ne racconta la ferocia esercitata a Codevigo, in Veneto,
contro i fascisti ravennati.
"Boldrini è stato un grande comandante militare, intelligente
e coraggioso. Nel febbraio del 1944 ottenne una medaglia d' oro dagli inglesi.
Ma a Codevigo tutti ricordano ancora quel che accadde alla fine della guerra:
gli uomini di Bulow era meglio non trovarseli davanti, né di giorno
né di notte".
Non teme di sfigurare un'icona?
Ma no, quella era una guerra spietata. Se avessi avuto dieci anni di più,
mi sarei trovato al loro fianco".
Lei Pansa affronta anche un altro argomento tabù, il cosiddetto
triangolo della morte, i delitti commessi nel dopoguerra in Emilia da partigiani
comunisti.
"Sì, fu l'inizio d'una seconda guerra civile. Una guerra di
classe che avrebbe potuto fare da innesco a una rivoluzione comunista.
Si cominciarono ad ammazzare i preti, gli agrari, i borghesi ricchi. Il
vero drammatico problema era che nel partito di Togliatti, di Longo, di
Secchia e di Amendola, l'intero gruppo dirigente, compresi i capi locali,
non fece nulla per stroncare alla radice questa convinzione".
Ma nel Pci, su queste violenze, ci fu uno scontro molto aspro.
"Esisteva un partito deviato, all'interno del partito legale. Gruppi
clandestini che godevano dell'appoggio di non pochi dirigenti del Pci reggiano.
Finché Togliatti, nel settembre del 1946, disse basta. Di lì
a poco il vertice della federazione reggiana venne silurato. Hanno ragione
Elena Aga Rossi e Viktor Zaslavsky quando sostengono che le vendette e
poi l'epurazione miravano a indebolire un'intera classe, la borghesia,
e a sostituire il vecchio ceto dirigente con una nuova leadership in cui
il Pci fosse rappresentato".
Pansa, mi viene in mente l'obiezione mossa da un dirigente cattolico
del Cnl, Pasquale Marconi, a un bel personaggio del suo racconto, il Solitario,
che pagò con la vita la sua ansia di verità.
"Se è lecito che si faccia luce e giustizia, non è bene
rimestare continuamente tutto quello che vi può essere stato di
marcio nella causa partigiana: rischieremmo di essere ingiusti verso quello
che c' è stato di bello".
Lei non vede questo rischio, oggi?
"No, affatto. Potrei rispondere con un motto di Giancarlo Pajetta:
'La verità è sempre rivoluzionaria'. Il marcio che pure vi
fu tra le file partigiane non cancella le pagine eroiche. E non azzera
la distinzione tra le due parti in lotta: gli uni combattevano per la libertà,
gli altri al fianco della dittatura nazifascista. Mi chiedo soltanto se
i vincitori di quella guerra non sarebbero potuti essere più clementi
con l'avversario".
Un libro sui partigiani rossi lordi di sangue non rischia di essere
inopportuno in un paese guidato da un premier che elogia la benevolenza
di Mussolini?
"Ma io non sono un uomo da opportunità! Io me ne infischio.
Quel che dice il cavaliere sul regime fascista è un discorso da
ubriaco. Penso che la partita con Silvio Berlusconi vada giocata su un
altro terreno, spiegando che quella maggioranza porta il paese al disastro".
Tra i valori oggi in gioco c' è anche l'antifascismo.
"Ma il mio è un grande servizio reso all'antifascismo. Questa
storia, di morte e vendetta, la raccontiamo fino in fondo noi che veniamo
da quella parte. Gianfranco Fini non lo fa. Di Salò non vuole parlare".
I vinti di allora sono i vincitori di oggi.
"L'ho già detto, ammazzare i fascisti non è servito
a niente. Anche se la destra di oggi, ripeto, è una cosa diversa".
Pansa, non si sorprenderà se il suo libro susciterà discussione.
"Quelli della mia parte s' arrabbieranno. Ma a me piacciono i dibattiti
furibondi. Voglio continuare a scrivere libri "politicamente scorretti",
scuotere certezze acquisite. Saranno i lettori a giudicarmi. Il mio lavoro
precedente, I figli dell'aquila, protagonista un ragazzo di Salò,
ha venduto ottantamila copie, e vinto il premio Acqui Storia. Se qualcuno
s' incavola, faccia pure: io vado avanti".
FONTE: LA REPUBBLICA (tramite sito in Internet) del 10 ottobre
2003
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I PADRONI DELLA MEMORIA. La storia scritta (e riscritta) sempre
a sinistra
Galli Della Loggia Ernesto
C' è davvero qualcosa di singolare nel modo in cui è
venuta formandosi la memoria della Repubblica, nel modo in cui tale memoria
è stata ed è elaborata dalla cultura ufficiale del Paese.
Per molti decenni, ad esempio, a quanto accaduto dal 1943 al ' 45 fu vietato
dare il nome che gli spettava, il nome cioè di guerra civile. Parlare
di guerra civile era giudicato fattualmente falso, e ancor di più
ideologicamente sospetto. Bisognava dire che quella che c' era stata era
la resistenza, non la guerra civile; di guerra civile parlavano e scrivevano,
allora, solo i reduci di Salò, i nostalgici del regime e qualche
coraggioso giornalista o pubblicista di rango come Indro Montanelli, che
mostravano così da che parte ancora stavano. Le cose andarono in
questo modo a lungo. Finché, all' inizio degli anni Novanta, come
si sa, uno storico di sinistra, Claudio Pavone, scrisse un libro sul periodo
1943-' 45 che si intitolava precisamente Una guerra civile: solamente da
allora tutti abbiamo potuto usare senza problemi questa espressione, ben
inteso non cancellando certo la parola resistenza. Altro esempio: il cosiddetto
"triangolo della morte", ovvero le uccisioni indiscriminate di
fascisti e non commesse dai partigiani dopo il 25 aprile. Anche qui è
valsa fino ad oggi la regola che bisognava negare che quelle uccisioni
fossero avvenute, per lo meno che fossero avvenute su larga scala e assai
spesso con efferatezza e gratuità spaventevoli. Solo quelli di Salò
e i neofascisti ne parlavano, naturalmente si può immaginare come.
Il discorso storico ufficiale, invece, al massimo e solo dopo molte riluttanze
arrivava alle mezze ammissioni: più in là c' era ancora una
volta il divieto del politicamente e dello storiograficamente corretto;
finché con il recente libro di un noto e bravo giornalista di sinistra,
Giampaolo Pansa (Il sangue dei vinti), il divieto è stato tolto,
sicché ora siamo tutti finalmente autorizzati a conoscere e a discutere
liberamente gli avvenimenti di quei terribili giorni. Ma mi domando: non
è singolare che su due aspetti così significativi della fondazione
del nostro presente, la memoria ufficiale del Paese abbia per tanto tempo
preferito guardare dall' altra parte? E non è ancor più singolare
che a conti fatti su entrambi quei nodi di eventi la versione anche lessicalmente
più vicina alla verità non fosse quella della democrazia
repubblicana e della sua memoria bensì quella dei suoi nemici? Ma
le singolarità non finiscono qui. C' è anche il non trascurabile
particolare che è solo nel momento in cui personalità culturali
di sinistra decidono che è giunto il momento di cambiare la versione
fin lì consacrata dei fatti, è solo allora che il Paese si
sente autorizzato a prendere ufficialmente conoscenza di parti di verità
che fino ad allora, viceversa, si riteneva ideologicamente più opportuno
far finta di ignorare; è solo allora che giornali, televisioni,
opinione pubblica, si sentono in grado di poter discutere liberamente.
Non solo, ma, come ha ricordato Otello Montanari in una lunga lettera al
Foglio, capita addirittura che proprio l' odierno denunciatore delle stragi
del dopo 25 aprile, proprio lui solo una decina di anni fa giudicasse negativamente
e con pesante sarcasmo il suddetto Montanari che, pur militando da sempre
nel Pci, cercava già allora di sollevare il velo della verità
su quelle indiscriminate uccisioni; che cercava cioè di fare in
anticipo la medesima cosa che lui stesso fa oggi. Siamo una democrazia,
insomma, che per troppo tempo ha avuto un rapporto problematico con la
verità delle sue origini. E che dunque ha avuto un rapporto egualmente
problematico con l' anima profonda del Paese che invece quella verità
sapeva, o spesso intuiva, ma non poteva né sapeva dire. Una democrazia
troppo abituata a praticare innanzitutto sulle proprie stesse vicende il
conformismo culturale, l' ossequio alle versioni di comodo, a incensare
come maestri gli araldi del primo e i fabbricanti delle seconde. Siamo
una democrazia nata con una difficoltà profonda a fare i conti con
il passato e che, forse anche per questo, si è poi trovata costretta
in sessant' anni ad assistere tanto spesso senza batter ciglio al repentino
cambiamento di senso che ha colpito il passato di tante biografie politiche:
ieri postlittorie o postmonarchiche, oggi postfasciste, postcomuniste,
postcraxiane, domani chissà postberlusconiane o postleghiste. Siamo
una democrazia in cui la chiave della memoria pubblica è ancora
e sempre nelle mani di una parte sola, non da ultimo a causa dell' incapacità
e dell' inconsistenza culturale dell' altra, la quale, trovandosi tagliata
fuori dall' elaborazione attiva e riconosciuta del passato collettivo,
è come se si trovasse essa stessa senza radici e sempre sul punto
di essere espulsa da quel passato medesimo, di vedersi cacciata dalla koinè
nazionale. Fino a quando sarà così non lo sappiamo: sappiamo
solo che finché la memoria degli italiani non diverrà finalmente
la sua stessa memoria, la Repubblica sarà condannata ad accontentarsi
di una memoria sempre parziale e omissiva, a sentire sempre incerto e provvisorio
il suo presente proprio come sempre incerto e provvisorio è il suo
passato. Ernesto Galli della Loggia
IL CORRIERE DELLA SERA sabato, 1 novembre, 2003
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SINISTRA PADRONA DELLA MEMORIA: DAGLI STORICI AUTOCRITICI E ACCUSE.
Lepre: è vero, ci siamo politicizzati. Rumi: effetto della sconfitta
comunista Tranfaglia: il problema è invece l' inconsistenza culturale
della destra Sabbatucci: impostazione figlia della Rivoluzione francese
pensare che la legittimità sta solo da una parte. Dopo l' editoriale
di Galli della Loggia sul monopolio nella lettura del passato.
Fertilio Dario
«La storia è sempre scritta dalla parte del vincitore»
annotava amaramente Trotzky, dopo aver perso la sua battaglia contro Stalin
e imboccato la via dell' esilio. E qualcosa di vero doveva pur esserci,
se nell' articolo di fondo sul Corriere, ieri, lo storico Ernesto Galli
della Loggia ha denunciato un simile conformismo ortodosso a proposito
della Resistenza. Certo in Italia, a differenza della Russia, ha trionfato
la democrazia: ma come negare che, all' ombra delle truppe liberatrici,
si siano fatti largo i regolamenti di conti e gli atti di giustizia sommaria
illustrati da Giampaolo Pansa nel suo ultimo libro? E che proprio questi
lati oscuri, a volte vergognosi, siano stati considerati tabù dalla
storiografia ufficiale, da sempre allineata a sinistra? Ebbene, Galli della
Loggia ha parlato chiaro: da noi, almeno fino ad oggi, sono esistiti i
«padroni della memoria», gli unici autorizzati a ripartire
meriti e colpe delle nostre vicende comuni. E, finché questi «padroni»
l' hanno proibito, tutti i saggisti e gli studiosi (o quasi) hanno rispettato
disciplinatamente il silenzio. Poi, prima con Claudio Pavone e più
recentemente con Giampaolo Pansa, il divieto è stato tolto: ma è
accaduto soltanto perché il via libera è venuto da personaggi
schierati a sinistra? «Il problema invece è tutto della destra
- risponde polemicamente Nicola Tranfaglia - perché a cinquant'
anni dalla fine del fascismo essa non riesce ancora ad affrontare adeguatamente
quel periodo storico. Un po' per sua inconsistenza culturale, e un po'
perché sono temi che, si vede, continuano a scottarla». Non
nega, Tranfaglia, quegli «episodi di giustizia anche sommaria»
avvenuti «al di fuori delle regole della legalità»:
tuttavia, nota, «venivano pur sempre dopo vent' anni di regime, e
di crudeltà commesse dai seguaci di Salò». Questo non
autorizza nessuno, comunque, a parlare di «occupazione della memoria»:
«Le capacità non sono ereditarie, gli spazi può prenderseli
chi vuole». Sarà, ma secondo Piero Melograni è storicamente
vera, piuttosto, la spartizione delle zone d' influenza: «La sinistra
agli intellettuali ha promesso il potere, e si è conquistato un'
egemonia; la destra, al massimo, ha promesso loro dei soldi». Tuttavia,
ha l' impressione che le cose stiano cambiando in meglio: «L' analisi
di Galli della Loggia la trovo nell' insieme azzeccata, però sono
meno pessimista sul futuro. Oggi gli studiosi possono lavorare meglio di
prima, anche se parecchi anni di studio sono andati perduti, e poi l' ostilità
contro il revisionismo si sta esaurendo. Se alcuni politici continuano
a opporsi, dev' essere perché in fondo pensano che l' Italia non
possieda un' identità e una vera memoria condivisa. Poi dimenticano
di dire che se l' identità italiana esiste, ed è così,
dev' essere anche nel male, non solo nel bene». Come si potrà
arrivare allora a quella «memoria condivisa» auspicata da tanti?
«Identificandola con la capacità di comprendere le ragioni
degli altri: vale per la destra nei confronti della sinistra, e al contrario».
Il sostegno più convinto Galli della Loggia lo ottiene sul versante
cattolico: Giorgio Rumi concorda in pieno sulla denuncia di «un'
egemonia di sinistra sulla storia, al punto da far sentire a tutti, oggi,
umiliante e scandaloso l' averla tollerata». Se le cose sono cambiate,
a suo giudizio, è in parte merito di De Felice, «il primo
che ha avuto il coraggio di sollevare questo macigno», ma si può
considerare anche un semplice effetto della sconfitta storica dei regimi
comunisti. «Le cose sono cambiate dopo l' 89 e il ' 91, è
venuto meno quello "spirito satellite" che a sinistra la faceva
da padrone. Se ne vuole una controprova paradossale? Proprio la storiografia
di sinistra, in tutti questi anni, ha continuato sistematicamente a sottovalutare
il ruolo dell' Armata Rossa, non meno che degli alleati anglo-americani,
nella liberazione dal nazismo. Il motivo è stato tattico: si preferiva
lasciare in ombra gli aspetti considerati, per un motivo o per l' altro,
imbarazzanti, e puntare tutto sulla guerra di liberazione, un argomento
su cui era ovvio che tutti fossero d' accordo». Se si vuole un' autocritica
a sinistra, ebbene Aurelio Lepre è pronto a farla: «Negli
anni del dopoguerra noi progressisti ci siamo troppo politicizzati, abbiamo
considerato i nostri studi storici come un modo di fare politica».
E il tema, anch' esso toccato da Galli della Loggia, della «guerra
civile»? Non è vero che è stata a lungo negata, solo
perché rischiava di oscurare l' aspetto eroico della Resistenza?
«Guerra civile ci fu tra italiani - risponde Lepre - mentre la Liberazione
fu quella dai tedeschi. Resistenza invece è un termine più
generico: significa che la popolazione, pur non partecipando sempre attivamente
alla lotta, stava in generale dalla parte dei partigiani, si opponeva alla
continuazione di una guerra che appariva ormai inutile». Una discussione,
comunque, che non si applica solo all' Italia: Giovanni Sabbatucci trova
molte somiglianze tra noi e la Francia, quest' ultima spaccata a suo tempo
attorno al tema della resistenza antigiacobina in Vandea, o sulla repubblica
di Vichy e le responsabilità del collaborazionismo. «La nostra
storia europea, anche quella contemporanea, resta sempre figlia della rivoluzione
francese. Di conseguenza, si tende a pensare che la legittimità
sia solo a sinistra, e ad essa spetti naturalmente un' egemonia culturale.
Un effetto? Da noi anche il Risorgimento è stato possibile finora
criticarlo soltanto da sinistra. La destra, già malconcia, è
uscita definitivamente delegittimata dalla disavventura del fascismo. «Certo
- conclude Sabbatucci - è scoraggiante ritrovarci ancora oggi, nel
2003, a discutere le legittimità di un libro come quello di Pansa.
Un' arretratezza di cui dovremmo vergognarci un po' ».
IL CORRIERE DELLA SERA domenica, 2 novembre, 2003 . (STORIA,
Pag. 013)
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Il dibattito MEMORIA
In un editoriale pubblicato sul Corriere della Sera di ieri, Ernesto
Galli della Loggia ha posto il problema dei «padroni della memoria»:
per decenni la storiografia, appannaggio della sinistra, non ha parlato
di guerra civile per gli anni dal 1943 al 1945 e non ha fatto luce adeguata
sui delitti commessi dai partigiani dopo il 25 aprile REVISIONISMO All'
inizio degli anni Novanta l' atteggiamento della storiografia «ufficiale»
comincia a cambiare. Fondamentale il saggio dello storico di sinistra Claudio
Pavone, intitolato Una guerra civile, in cui si indagano i fatti del periodo
1943-' 45 LE VITTIME I federali di Salò, gli uomini della Guardia
nazionale repubblicana, ma anche semplici farmacisti, avvocati, e casalinghe
con la tessera del Pfr: sono le vittime della vendetta partigiana esplosa
in modo furioso in Emilia, Veneto, Toscana, Lombardia, Piemonte e Liguria
IL CORRIERE DELLA SERA domenica, 2 novembre, 2003 . (STORIA,
Pag. 013)
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OPINIONI A CONFRONTO
PIERO MELOGRANI La sinistra agli intellettuali ha promesso il potere,
e si è conquistata un' egemonia; la destra, al massimo, ha promesso
loro dei soldi. Azzeccata l' analisi di Galli della Loggia, ma sono meno
pessimista sul futuro GIOVANNI SABBATUCCI La nostra storia europea, anche
quella contemporanea, resta sempre figlia della Rivoluzione francese. Di
conseguenza, si tende a pensare che la legittimità sia solo a sinistra,
e ad essa spetti naturalmente un' egemonia culturale NICOLA TRANFAGLIA
Il problema è tutto della destra perché a 50 anni dalla fine
del fascismo essa non riesce ancora ad affrontare adeguatamente quel periodo
storico. Un po' per sua inconsistenza culturale, e un po' perché
sono temi che continuano a scottarla AURELIO LEPRE Nel dopoguerra noi progressisti
ci siamo troppo politicizzati e considerato i nostri studi come un modo
di fare politica. Guerra civile ci fu tra italiani, Liberazione fu quella
dai tedeschi. Resistenza? Il popolo stava dalla parte dei partigiani
IL CORRIERE DELLA SERA domenica, 2 novembre, 2003 . (STORIA,
Pag. 013)
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