LA II GUERRA MONDIALE - III
PARTE
Riportiamo la parte principale dell'inserto uscito su AREA
N. 54, GENNAIO 2001, completo di bibliografia tradizionale e di
"sitografia".
Gli inserti, a cura dello storico Marco Cimmino, fanno parte di
una serie pubblicata mensilmente su AREA, per fornire uno strumento di
aggiornamento sul '900 per le scuole dell'obbligo. L'inserto
originale, pubblicato su AREA, è completo di ricca iconografia,
apparato didattico compresi test di autovalutazione con soluzioni, suggerimenti
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DA STALINGRADO A HIROSHIMA
Se il 1942 rappresentò il momento di maggior
espansione territoriale delle forze dell’Asse, con il 1943 esse cominciarono,
seppure non sempre in maniera clamorosa e con qualche ribaltamento di fronte,
inesorabilmente a ritirarsi in tutti gli scenari della guerra.
Dopo la resa di Paulus a Stalingrado (2 febbraio
1943), sul fronte russo le truppe sovietiche avanzarono decisamente, conquistando
Kursk, Rostov e Kharkov; il 25 di febbraio, Manstein scatenò una
controffensiva nel saliente conquistato, riprendendo, il 18 marzo, Kharkov
e Bielgorod; fino al luglio del 1943, il fronte russo sarebbe rimasto stabile
sulla linea Leningrado/Veliki-Luki/Orel/Kursk/Taganrog.
In Africa settentrionale, dopo lo sfondamento di
El Alamein e l’ultimo tentativo di riscossa dell’Afrika Korps a Kasserine
(14-22 febbraio), appariva chiaro che la situazione stesse precipitando,
tant’è che, ai primi di marzo, Hitler richiamò Rommel in
Germania, per evitargli l’umiliazione della sconfitta; Patton e Montgomery,
che guidavano le forze alleate provenienti rispettivamente da Ovest e da
Est, si congiunsero a El-Qattara l’8 aprile: un mese dopo (12 maggio),
le ultime truppe italo-tedesche in Nordafrica avrebbero capitolato a Capo
Bon.
Anche sul fronte del Pacifico le forze dell’Asse
subirono un grave rovescio, anche se le perdite assommarono, nella circostanza,
ad un solo uomo: il 18 aprile, una squadriglia di Lightning americani,
guidati da un’intercettazione dei servizi segreti, abbatterono l’aereo
su cui viaggiava l’ammiraglio Yamamoto; con lui moriva un eccellente stratega,
ma anche l’unico uomo degli alti comandi nipponici che fosse dotato di
un grande realismo e di una chiara visione dell’andamento del conflitto:
si trattò di una perdita gravissima per il Sol Levante e che avrebbe
causato molti guai al Giappone.
Il 1943 segnò, inoltre, l’inizio della campagna
di distruzione sistematica della Germania per mezzo di incursioni aeree;
in preparazione allo sbarco sul suolo francese, la RAF e l’USAAF attaccarono
scientificamente i centri industriali e i porti tedeschi, adottando la
tecnica della divisione dei compiti: gli americani colpivano gli obiettivi
di giorno, con i loro B17 e B24, mentre i Lancaster e gli Stirling inglesi
attaccavano di notte, in formazioni sempre più massicce, che spesso
superavano i mille velivoli.
Non era ancora il sistema dell’"Area bombing",
cioè del bombardamento a tappeto indiscriminato, ma ne era certamente
il preludio; tutto ciò era permesso dall’enorme superiorità
di mezzi che faceva pendere decisamente la bilancia dalla parte degli Alleati;
la caccia tedesca doveva misurarsi con formazioni sempre più compatte
di incursori e con decine di migliaia di mitragliere pesanti, che battevano
il cielo intorno ai quadrimotori.
L’industria bellica tedesca, comunque, compì
sforzi che hanno del prodigioso, nel periodo 1943-44, moltiplicando il
numero di aerei e di carri armati che uscivano dalle fabbriche; tuttavia,
il divario non poteva che aumentare continuamente, tanto che, al tempo
dello sbarco in Normandia (6 giugno 1944), gli Alleati erano padroni incontrastati
dei cieli, nonostante la comparsa dei primi caccia tedeschi a reazione,
i Me 262.
Ancora più evidente era la sproporzione di
mezzi tra gli angloamericani e la Regia Aeronautica, che si immolò
letteralmente, prima contendendo al nemico i cieli d’Africa e del Mediterraneo
e poi quelli dell’Italia, in una lenta consunzione di uomini e mezzi.
Nel luglio del 1943, infatti, gli angloamericani
erano sbarcati in Sicilia, conquistando il primo lembo d’Europa; altri
sbarchi, ben più rilevanti, sarebbero seguiti, ma la Sicilia fu,
in un certo senso, una prova generale delle reali capacità difensive
della fortezza europea.
Le truppe italiane opposero poco più di una
resistenza simbolica, un po’ per l’inverosimile sproporzione di mezzi,
un po’ per la sensazione che, ormai, tutto stesse andando a rotoli (il
25 luglio, il MCF avrebbe approvato l’"Ordine del giorno Grandi",
che esautorava Mussolini) e che la cosa migliore fosse concludere le ostilità
il più in fretta possibile.
Ben diverso fu l’atteggiamento delle truppe germaniche,
che, soprattutto nell’interno dell’isola, impegnarono duramente le truppe
alleate.
Col 25 luglio e con l’arresto del Duce, si può
dire che ebbe inizio quel processo di scollamento e poi di aperto conflitto
che avrebbe diviso il Paese e causato la Guerra Civile italiana; l’atteggiamento
del maresciallo Badoglio, subentrato a Mussolini nella carica di capo del
Governo, alimentò le incertezze nei nostri soldati: da una parte,
era evidente che Badoglio mirava alla pace e, forse, ad un repentino cambio
di schieramento, ma, dall’altra, per tenere buono l’alleato germanico (che
aveva mangiato da tempo la foglia), egli aveva proclamato, già il
28 luglio, il proseguimento della guerra al fianco della Germania.
Si preparava l’immensa tragedia dell’8 settembre,
causa di tanti mali e di tanti drammi, i cui strascichi, ancora oggi, a
sessant’anni di distanza, limitano la libertà politica e la serenità
ideologica del nostro Paese; questa tragedia la dobbiamo, per buona parte,
al responsabile principale di un’altra immensa tragedia, quella di Caporetto:
il maresciallo Pietro Badoglio, massone piemontese e figura sciagurata
della storia d’Italia.
L’estate del ’43 vide anche il riprendere delle
iniziative ad Est; nel luglio, i sovietici respinsero un tentativo germanico
a Kursk ed attaccarono con vigore a Viazma, riuscendo, agli inizi d’agosto,
a sfondare il fronte, riconquistare Kharkov e puntare direttamente al Dniepr;
mentre gli Alleati completavano l’occupazione della Sicilia e Roma veniva
dichiarata "città aperta"; intanto, i pozzi petroliferi
di Ploesti, fondamentali per il rifornimento della Germania, venivano pesantemente
bombardati, riducendo drasticamente la capacità di movimento dei
Tedeschi.
In settembre, i Russi presero Smolensk (24 settembre),
seguirono il Dniepr fino a Kiev e conquistarono, infine, l’ex capitale
il 6 novembre.
Alla conferenza di Quebec (11-24 agosto), gli Alleati
avevano approvato i piani per lo sbarco in Europa; da questo momento in
poi, la Gran Bretagna avrebbe assistito ad un accumulo di mezzi senza precedenti,
fino al fatidico D-Day.
L’autunno del 1943 vide un susseguirsi di conferenze
diplomatiche alleate: una volta compreso che la guerra era vinta e che
era soltanto questione di tempo, Inghilterra, Usa ed Urss cominciavano
a cercare di avvantaggiarsi nell’inevitabile spartizione; in ottobre vi
fu la Conferenza di Mosca, in novembre quella del Cairo e la ben più
importante Conferenza di Teheran cui presero parte i tre plenipotenziari
alleati: Stalin, Churchill e Roosevelt.
Intanto, in seguito all’armistizio dell’8 settembre,
di cui ci occuperemo in un prossimo inserto, Mussolini, dopo la sua liberazione
dal Gran Sasso e il suo ricovero in Germania, aveva costituito, nel nord
del Paese, un governo repubblicano, sostenuto dai Tedeschi, la Repubblica
Sociale Italiana (23 settembre).
La contromossa di Badoglio fu quella di dichiarare
guerra all’ex alleato germanico (13 ottobre), ribaltando completamente
la posizione dell’Italia monarchica rispetto all’inizio del conflitto.
Mussolini, il 3 novembre, fece arrestare il genero,
Galeazzo Ciano, che avrebbe affrontato il processo di Verona e la fucilazione,
insieme ad altri gerarchi firmatari dell’OdG "Grandi"(12 gennaio
1944).
La fine del 1943 trovò gli Alleati in piena
offensiva, con i Russi che avevano definitivamente riconquistato Korosten,
più volte presa e perduta dai contendenti, e con gli Americani che
sbarcavano in Nuova Britannia e risalivano lentamente la Penisola Italiana,
arrestandosi di fronte alla linea Gustav, che rappresentava il caposaldo
invernale tedesco.
Il 22 gennaio del 1944, gli Alleati sbarcarono ad
Anzio, a sud di Roma, cercando di superare il cul de sac rappresentato
da Cassino, dove le loro truppe si dissanguavano senza riuscire a passare;
proprio mentre infuriava la battaglia di Cassino, il comandante in capo
tedesco in Italia, Kesselring, scatenò un’offensiva contro la testa
di ponte di Anzio (17-29 febbraio), che, però, fallì.
Sul fronte orientale, i Russi stavano ormai avanzando
in tutti i settori; il 14 gennaio iniziarono una poderosa offensiva per
liberare Leningrado dall’assedio, il 22 febbraio l’Armata Rossa entrava
a Krivoi-Rog, il 26 marzo i Russi raggiungevano il Prut e la frontiera
rumena.
Questa campagna invernale logorò terribilmente
le forze tedesche, che, ormai vedevano assottigliarsi spaventosamente le
proprie risorse, in particolare di mezzi corazzati, aerei e carburante;
ma anche il salasso umano era terribile.
Mentre gli Americani bombardavano Budapest , ora
sotto il diretto controllo dei Tedeschi e delle Croci Frecciate, e Bucarest
(aprile ’44), le truppe sovietiche conquistavano Ternopol (5 aprile), Odessa
(10 aprile) e, infine, Sebastopoli (9 maggio), quando si concluse il ciclo
operativo invernale.
Da ogni parte del mondo, stavano, intanto, affluendo
truppe per attaccare la fortezza Europa: i 450.000 Francesi della neonata
Armée, i Brasiliani, i Palestinesi, gli Anzacs, i Polacchi, gli
Indiani; si avvicinava il momento tanto temuto da Hitler, quello dell’attacco
al Vallo Atlantico.
In realtà, il sistema difensivo della costa
francese era tutt’altro che insuperabile: soltanto nella zona del Pas de
Calais la fascia costiera di batterie a lunga gittata, di blockhaus e di
trappole anticarro ed antinave era efficiente; per il resto, le difese
erano poco profonde e piuttosto approssimative, data la scarsità
di riserve (in pratica, due sole divisioni panzer) e la precarietà
degli apprestamenti fissi.
Hitler, è notorio, non credeva all’eventualità
di uno sbarco sulle coste normanne, e nemmeno le comunicazioni del suo
ufficio informazioni sui preparativi alleati valsero a smuoverlo dall’idea
che l’azione principale sarebbe avvenuta sulle basse coste del nord.
Preda delle sue allucinazioni, che si sarebbero
acuite in seguito all’attentato di Rastenburg del 20 luglio, il Fuehrer
non si fidava dei propri generali ed era sempre più spesso preda
di un delirio strategico, in cui spostava divisioni inesistenti e si affidava
alle proprie divinazioni astrologiche e al proprio intuito.
Incredibilmente, perciò, i Tedeschi vennero
presi alla sprovvista dallo sbarco in Normandia, che, altrimenti, avrebbe
potuto, per come sono poi andate le cose, risolversi in un disastro per
le pur strapotenti forze alleate.
Intanto, nell’immediata vigilia di Overlord, gli
Americani progredivano nel Pacifico, sbarcando in Nuova Guinea a Saidor
(2 gennaio), nelle Marshall (31 gennaio), nelle Caroline (16 febbraio)
e riconquistando Wake (15 maggio) e Biak (27 maggio).
In Italia, il 17 maggio cadde Cassino e, una settimana più tardi,
la 5a armata del generale Clark si ricongiunse con le truppe sbarcate ad
Anzio: la linea Gustav era caduta.
E’ naturale, però, che il 1944 risulti dominato
dall’evento chiave di tutta la guerra, ossia lo sbarco in Normandia.
All’alba del 6 giugno 1944, si presentò davanti
alle coste francesi un’armata d’invasione forte di 4.126 navi e di più
di 15.000 aerei, che trasportavano la 1a armata Usa e la 2a britannica:
la superiorità aerea alleata era dell’ordine di 50 a 1!
Lo sbarco avvenne al mattino, con la bassa marea,
per evidenziare gli ostacoli antisbarco sommersi: anche questo prese in
contropiede il comandante delle forze di difesa tedesche, Rommel.
Le spiagge su cui sbarcarono gli Americani (Utah
e Omaha) e quelle di competenza britannica e canadese (Gold, Juno e Sword),
nella zona tra Caen e il Cotentin, entrarono per sempre nella storia; il
cinema, oltre che la storiografia, ha contribuito ad alimentarne la leggenda
("Il giorno più lungo", "Salvate il soldato Ryan"),
cui, pertanto, non aggiungeremo altre parole.
L’8 giugno, gli Americani erano a Bayeux, il 12
a Carentan, il 26 si arrendeva Cherbourg.
Durante il mese di Luglio, le città normanne
caddero una dopo l’altra, mentre Rommel rimaneva gravemente ferito in un
attacco aereo alla sua vettura; Caen era caduta il 9 luglio, il 19 Saint-Lô,
il 30 Avranches, che avrebbe permesso uno sfondamento, che poi avvenne,
in direzione della linea Somme-Aisne-Marna.
Nel frattempo, anche i Russi non erano rimasti con
le mani in mano: le valorosissime truppe finlandesi avevano alla fine dovuto
abbandonare la linea Mannerheim sotto gli attacchi dell’Armata Rossa (20
giugno); nel nord, i sovietici avevano invaso la Bielorussia ed i Paesi
Baltici, erano penetrati in suolo polacco all’inizio di luglio e, nel breve
volgere del mese, si erano presentati in Prussia orientale, minacciando
direttamente il territorio del Reich.
La guerra, ormai, si combatteva in Germania, con
tutte le conseguenze, anche psicologiche, che questo poteva comportare;
incredibilmente, però, il popolo tedesco, pur presagendo l’inevitabile
disfatta, non manifestava segni di cedimento nella sua fede per il Fuehrer,
e, per la stragrande maggioranza, avrebbe conservato questa fede incrollabile
fino alla fine.
Mentre l’offensiva in Polonia si arrestava e Varsavia
insorgeva sotto la guida del generale polacco Bor, la Romania, invasa per
buona parte dalle truppe sovietiche, si arrendeva; il re fece arrestare
il dittatore Antonescu ed i Tedeschi persero un altro alleato.
Per quanto riguarda il nostro Paese, rinviando l’analisi
della guerra civile ad un prossimo inserto, insieme ad altri temi storici
particolarmente delicati della seconda guerra mondiale, come la Shoà,
dobbiamo segnalare il fatto che, il 15 luglio, il governo si era reinsediato
a Roma , dando l’impressione che, in almeno metà dell’Italia, ci
si avviasse verso una difficile normalizzazione; la strada della pace era,
però, ancora lunga: dopo la caduta di Livorno, di Firenze e di Pisa
(19 luglio, 16 e 19 agosto), i Tedeschi si organizzarono su una nuova linea
difensiva invernale, la Linea Gotica, che attraversava l’appennino tra
Toscana ed Emilia-Romagna.
Nel frattempo, erano affluite al fronte alcune aliquote
di truppe italiane repubblicane, addestrate e riorganizzate in Germania,
mentre continuava a combattere valorosamente la Xa flottiglia MAS del comandante
Borghese, cui affluivano in continuazione volontari, facendone lievitare
gli effettivi in maniera esorbitante.
Anche l’estate del 1944 segnò, infine, una
serie di progressi ulteriori degli Americani e dei Britannici nel Pacifico:
nelle Marianne, in Nuova Guinea e in Birmania, i Giapponesi subirono duri
rovesci e dovettero abbandonare Guam, il 10 agosto.
Dopo le difficoltà iniziali di Overlord,
determinate, prevalentemente, dalla scarsità di porti cui fare affluire
l’enorme massa di materiali e mezzi per rifornire le proprie armate, ora
gli Alleati, proseguivano spediti in territorio francese.
Il 15 agosto vi era stato un notevole sbarco franco-americano
in Provenza, che aveva creato un secondo fronte, stavolta meridionale,
per le truppe che difendevano la Germania da occidente; il 19 dello stesso
mese Parigi era insorta e, il 25, vi erano entrate le truppe alleate, salutate
da un tripudio straordinario.
Il fatto che, insieme agli angloamericani si trovassero
gli Sherman di Leclerc era costato quasi un incidente diplomatico tra Eisenhower
e l’arcigno generale De Gaulle, che, lungo tutta la guerra, aveva cercato
di imporsi come unico interlocutore francese degli Alleati, riuscendovi
in virtù più della sua arroganza che di una sua reale rappresentatività
del popolo francese: erano i primi segnali di come De Gaulle avrebbe interpretato
il concetto di Grandeur, una volta capo della Francia.
Per farla breve, comunque, entro il mese di settembre,
tutta la Francia e buona parte del Belgio erano stati occupati dagli angloamericani,
le cui forze, provenienti dalla Normandia e dalla Provenza, si erano riunite,
come le ganasce di un’immensa tenaglia, a Châtillon-sur-Seine, il
12 settembre.
Le truppe tedesche, però, guidate da Model,
che aveva sostituito Kluge, suicidatosi dopo l’attentato del 20 luglio,
si erano per buona parte sottratte alla trappola; si trattava, tuttavia,
di un esercito sconfitto, deluso e praticamente disarmato, pallido fantasma
di quello che aveva percorso, in senso inverso, le stesse strade nel 1940.
In quello stesso settembre del 1944, la Bulgaria
cadeva e chiedeva l’armistizio ai sovietici, dichiarando guerra alla Germania
(7-11 settembre), mentre le truppe russe e quelle jugoslave del maresciallo
Tito si congiungevano a Negotin, il 15: il cerchio continuava a chiudersi
sul Reich.
Ai primi di ottobre, gli Americani forzarono la
linea Sigfrido, ad Aquisgrana, l’Ungheria venne invasa dai sovietici, mentre
il generale Bor, a Varsavia si dovette arrendere ai Tedeschi; il 20 ottobre
Tito entrò a Belgrado: il 13 dicembre Tito annunciò che la
futura repubblica jugoslava sarebbe stata una federazione di sei stati;
uno di questi stati comprendeva l’Istria e buona parte della Venezia Giulia,
da cui già da tempo si stavano eliminando gli elementi nazionali
italiani: si stava delineando il dramma delle foibe, il cui primo atto
si era visto dopo l’8 settembre; anche di questo parleremo diffusamente
nell’inserto sui temi scottanti della seconda guerra mondiale.
La fine del mese vide anche una pesante sconfitta
aeronavale giapponese nel pacifico, con la battaglia di Leyte, in cui comparvero
per la prima volta in numero rilevante gli aerei suicidi, i Kamikaze; quanto
a Leyte, l’accanita resistenza giapponese cessò del tutto a dicembre;
in pratica, gli unici settori in cui le truppe del Tenno non fossero in
aperta crisi restavano la Cina e l’Indocina, dove le loro offensive raggiunsero
buoni risultati, sia contro Ciang Kai-Scek che contro gli Americani, per
il resto, la superiorità aeronavale degli Usa era troppo marcata
per lasciare spazio a qualche speranza.
La guerra, di fatto, avrebbe potuto finire qui,
almeno per quanto riguarda il fronte occidentale: ben presto, le avanguardie
di Patton avrebbero, incredibilmente, trovato un ponte intatto sul Reno,
a Remagen (6 marzo 1945) , e di lì la porta era praticamente spalancata
fino a Berlino, giacchè non esistevano tra il Reno e la capitale
forze consistenti, fatte salve le divisioni corazzate di Rundstedt, celate
nella foresta delle Ardenne, ma quelle sarebbero dovute servire a tutt’altro.
A questo si opposero due eventi: il primo fu la
scelta, tutta politica, degli Americani di lasciare ai Sovietici l’onore
della conquista della capitale del Reich, ennesima prova del fascino incomprensibile
che Stalin esercitava su Roosevelt.
Il secondo dipese esclusivamente dai Tedeschi e
dalla loro disperata volontà di non arrendersi.
Il 16 dicembre, infatti, con scorte di carburante
decisamente irrisorie e confidando in un fattore aleatorio come il cattivo
tempo che costringesse a terra gli aerei alleati, i carri Tiger germanici
sbucarono all’improvviso nelle linee americane, seminando lo scompiglio:
era la battaglia delle Ardenne, l’ultimo grande sforzo offensivo di Hitler.
In verità, nei piani del Fuehrer questo doveva
essere un secondo attacco alla Francia, con esiti disastrosi e, forse,
definitivi per le truppe sbarcate in Normandia, che dovevano essere tagliate
fuori; ma, nella realtà, l’offensiva delle Ardenne avrebbe, al massimo,
potuto scompigliare il fianco settentrionale delle armate Usa: di fatto,
i carri tedeschi si ingolfarono intorno alla piazzaforte di Bastogne, senza
neppure superare la Mosa.
Il 28 dicembre, gli Americani liberarono Bastogne
dall’assedio e a metà di gennaio 1945 l’offensiva era stata del
tutto rintuzzata, con la distruzione dei reparti corazzati nazisti.
Bisogna dire che le truppe germaniche a sud di Strasburgo
se la stavano cavando meglio, tuttavia, in pratica, a febbraio, gli alleati
costeggiavano il Reno per quasi tutto il suo percorso, fino alla conquista
di Colonia e, come già detto, di Remagen, ai primi di marzo.
Naturalmente, in tutto questo periodo, non era passato
un solo giorno senza che massicce formazioni di bombardieri avessero scaricato
migliaia di tonnellate di bombe sul Reich: le città tedesche, ormai,
sembravano città lunari, con scheletri di case smozzicate che sorgevano
in un mare di macerie.
Tra tutte, citiamo Dresda, che, pur non rappresentando
un bersaglio strategico, ed essendo stata, per questo motivo, fino ad allora
risparmiata (le fabbriche di strumenti ottici si trovavano fuori del perimetro
urbano, ed erano già state colpite), venne attaccata a più
riprese, tra il 13 ed il 14 marzo.
Nella città si trovavano almeno 500.000 profughi,
provenienti dalla Slesia e fuggiti di fronte alla ferocia sovietica; su
di loro e sugli abitanti dell’antica capitale sassone, alle 22 del 13 marzo
cominciano a piovere bombe da due tonnellate, destinate soprattutto ad
infrangere i vetri su di un vasto raggio, per facilitare il propagarsi
degli incendi.
Tre ondate di bombardieri Lancaster e B17 (più
di 1.100 in tutto) sganciarono sulla città 650.000 bombe incendiarie,
trasformando Dresda in un ciclone di fuoco che si autoalimentava per la
depressione barometrica; nessuno scampo per gli abitanti, soffocati nei
rifugi o arsi per strada, nessuna possibilità di soccorso, perché
i cacciabombardieri americani mitragliavano senza pietà i carri
dei pompieri che provenivano dalle città vicine: Dresda fu un episodio
di una ferocia inaudita in una guerra che era stata inauditamente feroce,
e causò circa 150.000 vittime, cioè più di qualunque
altro bombardamento della guerra, compreso quello di Hiroshima!
Perfino il parlamento britannico insorse per questo
atto di barbarie; ma nessuno ebbe il coraggio di dire che il bombardamento
era stato espressamente chiesto dai sovietici, per scompigliare le retrovie
del fronte orientale.
Il quale fronte, ormai, stava a sua volta crollando:
il 13 febbraio Budapest si arrendeva, ai primi di marzo l’Armata Rossa
entrò in Austria e nella Germania orientale, nello stesso momento
cadeva la Pomerania; un poco alla volta, le forze sovietiche stringevano
Berlino, cui Eisenhower aveva ufficialmente rinunciato, in una morsa.
Da questo momento in poi, ogni giorno segnò
uno sviluppo deciso verso la fine del Reich: vediamo di riassumere gli
avvenimenti in modo sintetico.
Il 10 aprile cadde Königsberg, il 12, il giorno
della morte del presidente americano Roosevelt, cui succedette Truman,
i Russi entrarono a Vienna, il 16 iniziò l’offensiva congiunta di
Zukov e di Konev contro Berlino, il 17 si arresero le truppe della Ruhr,
il 19 gli Alleati, in Italia, forzarono la linea gotica e presero Bologna,
il 27 veniva assassinato Mussolini, il 29 i Francesi che avevano attaccato
da nord e gli Alleati si congiunsero, a Torino, il 30 aprile Hitler si
suicidava nel bunker della cancelleria, insieme alla moglie, Eva e, il
7 maggio, a Reims, le truppe tedesche si arresero senza condizioni.
La guerra in Europa si concludeva, con il suo strascico
di drammi e di polemiche: alla fine, gli Americani avevano commesso l’errore
di assecondare troppo Stalin, e questo si sarebbe ritorto contro di loro.
Le conferenze di Yalta (4-12 febbraio) e di Potsdam
(17 luglio), in pratica, sancirono la divisione del mondo in due, consegnando
una parte dell’Europa all’incubo comunista.
Churchill, sconfitto dal laburista Attlee alle elezioni
di luglio 1945, riferendosi al suo sedicente alleato sovietico, commentò
amaramente: "Abbiamo ammazzato il porco sbagliato!", il che la
dice lunga sulla sua opinione riguardo al tiranno russo.
Intanto, anche la sorte del Giappone si stava compiendo.
In gennaio, MacArthur era sbarcato a Luzon, il 17
febbraio Mac era tornato, come aveva promesso nel 1942, a Corregidor e
il 25 era entrato a Manila; anche le città nipponiche subirono,
a partire dal marzo 1945, pesanti incursioni aeree, favorite dalla quasi
completa distruzione dell’aviazione del Sol Levante: Tokio, Osaka, Yokohama,
Nagoia e Kabè pagarono un duro prezzo; tra le città risparmiate,
Hiroshima e Nagasaki avevano un appuntamento con il destino.
Il 16 marzo, cadde Iwo Jima e il 1 aprile gli Americani
sbarcarono a Okinawa: la guerra ora minacciava direttamente l’arcipelago
giapponese.
Mentre, una ad una, le isole del Pacifico cadevano,
da Bougainville al Borneo, gli scienziati americani stavano ultimando i
test per la prima esplosione atomica della storia: questa si realizzò
ad Alamogordo, nel deserto del New Mexico, il 16 luglio del 1945, segnando
l’inizio dell’era nucleare.
Il 6 ed il 9 agosto, due fratellini della bomba
di Alamogordo, Little Boy e Fat Man, consegnavano Hiroshima
e Nagasaki alla storia ed i loro abitanti all’olocausto atomico; il 15
agosto, l’imperatore ordinava di cessare ogni ostilità.
Il 2 settembre, , alla fonda nella rada di Tokio,
con la capitolazione giapponese sul ponte della corazzata Missouri, finiva
la seconda guerra mondiale.
Le vittime sono state calcolate in circa 40.000.000,
anche se il loro vero numero non sarà mai calcolato.
Certamente incalcolabile è la mostruosa rovina,
fisica e morale, che questo conflitto ha procurato all'umanità,
e all'Europa, in particolare; senza contare che moltissime questioni legate
alla guerra non sono affatto state risolte dalla cessazione delle ostilità,
a partire dal processo di Norimberga.
Dei problemi ancora fonte di discussione, o, almeno,
dei più importanti, cercheremo di occuparci nel prossimo inserto;
per ora, ci preme ricordare a chi ci critica perché il nostro lavoro
appare troppo o troppo poco schierato, che gli storici hanno il dovere
di schierarsi da una sola parte: da quella della verità, il più
possibile oggettiva e verificabile.
Dovendo prossimamente parlare di Resistenza e Repubblica
Sociale, di Olocausto e di Foibe, è meglio ricordarlo a chi avrà
la bontà di leggere le nostre note.
< LA II GUERRA MONDIALE
II PARTE *** LA II GUERRA MONDIALE IV PARTE
>
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