Fazi Leonida LA REPUBBLICA FASCISTA DELL'HYMALAIA
Piazza Navona 1992
Leonida Fazi è direttore e redattore del
mensile romano «ITALICUM», giornale che nella 'nostra area'
morale e patriottica (non strettamente di partito) è oggi considerato,
alla pari con la «VOCE DEL SUD» di Lecce, col milanese «VOLONTA'»
e, permettetecelo, con «L'ULTIMA CROCIATA» (e pochissimi altri)
il miglior periodico italiano.
Su questo non vogliamo insistere, anche perchè
gli argomenti per confortare la tesi sarebbero perfino troppi. Siamo convinti
che ognuno di noi, nel quale la nobiltà delle idee corrisponda alla
generosità dei fatti, senta il dovere di leggerli questi giornali,
tutti, nessuno escluso. Avrà sempre qualcosa da imparare, su cui
riflettere, da insegnare agli altri. Leonida Fazi, giornalista e scrittore,
un uomo che possiede il senso raro e prezioso della misura e che perciò
si fa ascoltare con gioia ed edificazione dello spirito, era Sottotenente
dei Bersaglieri quando il 15 maggio 1941 a Quota 191 di Passo Halfaya fu
catturato dagli inglesi e spedito con migliaia di Camerati, attraverso
tappe, soste e peripezie innumerevoli, in India. Di qui fu rimpatriato
nel mese di dicembre di cinque anni dopo.
Fazi, lo ribadiamo, è scrittore di notevole
dimensioni intellettuali, il quale stimola il lettore alla riflessione,
lo solleva «in più spirabil aere», dove è naturale
la comunione con i molti nostri fratelli caduti e i pochi sopravvissuti.
Quelli che mantennero e conservano meravigliosamente, intatti nel tempo,
la verginità dell'anima, il calore della fede, il sogno della speranza.
Basta leggere l'ultimo suo libro: «LA REPUBBLICA FASCISTA DELL'HIMALAYA»,
che Edizioni Piazza Navona ha pubblicato qualche mese fa. 473 pagine indimenticabili.
A YOL, località misteriosa nella carta geografica, comunque situata
ai piedi delle vette più alte del mondo, l'8 settembre 1943, su
iniziativa di alcuni sciagurati ufficiali anch'essi prigionieri, di colonnelli
che fino a 40 giorni prima s'erano dimostrati più fascisti di Mussolini,
la comunità italiana si divise in due parti, irrevocabilmente.
Ognuna di esse, da allora, fece parte per se stessa.
La meno numerosa (intuibili le ragioni) formò il Campo 25. Erano
coloro che non avevano dimenticato le parole del Maggiore Nino Tramonti,
il soldato-poeta: «Siete belli perchè siete bersaglieri. Avete
il filetto d'argento da allievo ufficiale. E' la promessa del grado che
riceverete, se lo meriterete. Avete le stellette. Sono l'impegno di servire
la Patria. Avete il piumetto. E il giuramento dinanzi a Dio che lo porterete
con onore».
Poi, nell'ora insidiosa dell'incertezza, allorchè
si pensa, si pensa, si pensa e si hanno 20, 25, 30 anni: alla morosa, alla
casa, a mamma e babbo, al «fiat voluntas Dei»...
«O Dio, Dio mio, potrà mai essere la
tua volontà che l'Italia perda la guerra, che io non debba mai conoscere
la gioia immensa, urlante del ritorno nell'Italia vittoriosa? Non potrà,
vero, mio Dio? Perchè tu sei giustizia ed il mio popolo è
stato trattato sempre ingiustamente, gli si è negato quel poco di
terra al sole dove operava cose buone, quel mio popolo che ha difeso i
tuoi sacerdoti e le tue suore massacrati in Spagna dai Senza-Dio, quel
mio popolo che combatte per la sua vita contro il mondo delle sette alleate
con il Senza-Dio Stalin. Potrà mai essere la tua volontà
che questo mondo trionfi sul mio? Ti prego, mio Dio, ti prego; ti offro
in cambio il mio sacrificio».
Così nacque la «Repubblica Fascista
dell'Himalaya», fieramente, in una terra lontana le mille miglia
dalla Patria nostra, sotto gli occhi increduli, stizziti, ma non di rado
ammirati dei carcerieri. Una Repubblica vissuta e onorata per 36 mesi da
mille, duemila «Venticinquisti», per un ideale che non ha tempo,
nè razza per gli uomini d'onore.
Fra costoro, in prima linea, c'è Leonida
Fazi, il quale così si congeda dai suoi e nostri fratelli: «Non
un episodio fugace la sua Repubblica, bensì appartenente alla storia
del popolo italiano, anzi alla storia del mondo. L'episodio travalicava
gli anni, si accampava addirittura nel tempo senza tempo, per la sua appartenenza
alla sfera dello spirito. Vendicava le decine e decine di migliaia di prigionieri
lasciati morire da Stalin.
Affiancava, con umiltà, coloro che in tanto
martirio avevano rifiutato di plaudire gli assassini, gettando, come Italo
Stagno, sulla faccia degli aguzzini la propria qualifica di «deputato
dei morti». Dava significato alla immensa mondiale moria. Toglieva
addirittura alla vicenda umana la sgomenta apparenza della inutilità.
Così entrambi (l'Autore e sua Moglie), tenendosi
per mano, continuarono a camminare sul mondo, con dignità, finchè
vissero».
LA REPUBBLICA FASCISTA DELL'HIMALAYA. Italo Merli. ULTIMA CROCIATA
N. 1 Gennaio 1993
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Sitia Luigi METTITI SULL'ATTENTI, CAROGNA!
Greco&Greco 1992. E 9,30
È il diario romanzato di Federico, un giovane ventenne che sente
un moto di ribellione nell’animo e decide di arruolarsi nelle Forze Armate
della RSI.
Non è la politica ad operare sulla sua scelta ma il senso d’appartenenza
alla Patria, la voglia di dimostrare che gli Italiani non sono dei traditori
ma sanno impugnare le armi come elemento di riscatto agli occhi di alleati
e nemici.
Queste pagine sono state scritte nel campo di concentramento di Cap
Martifou (Algeria) e riportano fedelmente fatti e riflessioni non di fantasia
ma con riscontro nella realtà vissuta.
È il fronte il richiamo dei volontari del Battaglione "Lupo’’
della Xª, ed invece una subdola guerra di controguerriglia li avviluppa
sempre più, li rende scontenti, vogliono affrontare un nemico che
abbia un volto, una capacità combattiva ben marcata, non l’anonimo
cecchino in abiti borghesi, protetto dall’omertà ruffiana o obbligata,
un cattivo italiano renitente alla leva o fuggito sui monti per sottrarsi
alla guerra intruppato dai comunisti. Ed ecco la ribellione del Lupo, la
ribellione all’odio di parte: finalmente l’avvio al fronte.
I giovani marò si avvicinano alla linea del fuoco: croci, casolari
distrutti, fango, pidocchi, la bolgia delle esplosioni, schegge di mortaio,
sibili e schianti improvvisi, la morte a volte rapida e a volte maligna
nello straziare i corpi. Questa è la valle del Reno. Le brevi licenze
non aiutavano il morale. Si sentiva intorno ostilità e disagio,
a volte la morte a tradimento sottraeva un amico e scavava un solco sempre
più profondo. "Chi te lo fa fare, diserta, vieni con noi’’,
queste le proposte del vecchio amico che scoprivi essere sempre stato antifascista,
queste le parole del parente prossimo o del conoscente che ti gettavano
nello sconforto più pesante e ti facevano rimpiangere la buca scavata
nel fango sulla linea del fronte.
In ventitré capitoli c’è la storia di un amore incompreso
per la propria terra, la dedizione di un giovane verso un popolo stordito
e minacciato che non vuole compromettersi, che non capisce certi valori
che sono alla base della dignità e del giudizio storico che sarà
dato.
Chi ricorderà più le imprese vigliacche di tanti mistificatori?
Più il tempo avanza e sempre più la verità si farà
strada ed ognuno sarà giudicato per quanto ha sofferto.
Il testo presentato (pur non recentissimo) è di facilissima
lettura per lo svolgimento della narrazione che ci fa entrare nel personaggio
destando la curiosità necessaria per essere assorbiti dalla lettura.
La narrazione dei fatti è sempre legata alle riflessioni del
protagonista.
NUOVO FRONTE N. 217 (2002) Rubrica "Leggiamo assieme"
a cura di M.Bruno.
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